Quindi si possono ricavare i seguenti coefficienti angolari:
m=4,mp=−41
Derivate Parziali
Lo studio della derivata prima permette di conoscere se la funzione è crescente o decrescente e se ammette massimi e minimi. Le funzioni in due variabili vengono studiate attraverso il comportamento di due derivate: le derivate parziali.
Definizione
Sia z=f(x;y) una funzione con dominio D e sia P0(x0;y0)∈D, la derivata parziale di f rispetto a x nel punto P0 è il limite (se esiste ed assume un valore finito) per h→0 del rapporto incrementale di f nel punto P0 rispetto ad x0.
La derivata rispetto ad x si può indicare con i simboli:
zx′
fx′
δxδf
fx′(x0;y0)=h→0limhf(x0+h;y0)−f(x0;y0)
Quando si deriva rispetto a x, la variabile y è paragonabile ad una costante; quando invece si deriva rispetto a y, la variabile x è equiparabile ad una costante.
Esempio z=x3+y2−4xy
Si consideri z come funzione della sola variabile x derivando quindi rispetto a quest’ultima, si consideri y come una costante.zx′=3x2−4y
Si consideri z come funzione della sola variabile y derivando quindi rispetto a quest’ultima, si consideri x come una costante. zy′=2y−4x
Significato geometrico
Consideriamo la superficie che rappresenta una funzione z=f(x;y), il punto P0(x0;y0) e la sua immagine A(x0;y0;z0). A appartiene alla superficie S. Sezionando questa superficie con un piano passante per A e parallelo al piano Oxz, si ottiene la curva γ. L’equazione del piano α è y=y0. La curva γ è l’insieme dei punti di S che hanno ordinata costante y0.
Il coefficiente angolare della retta r tangente a γ in A è fx′(x0;y0). Allo stesso modo, sezionando la superficie S con un piano β passante per A e parallelo al piano Oyz si ottiene la curva δ. Il coefficiente angolare della retta s tangente a δ in A è fy′(x0;y0).
Piano tangente a una superficie
Considerando ancora la superficie S, le rette tangenti r e s individuano il piano tangente alla superficie nel punto A. Per determinare la sua equazione, bisogna considerare l’equazione di un generico piano passante per A(x0;y0;z0), ovvero: z−z0=m(x−x0)+l(y−y0)
Sezionando il piano per A con il piano di equazione y=y0, si ottiene la retta di equazione z−z0=m(x−x0)
La retta trovata deve essere tangente alla curva in A, quindi m=fx′(x0;y0) così come l=fy′(x0;y0)
Di conseguenza, se il piano tangente esiste, ha equazione: z−z0=fx′(x0;y0)(x−x0)+fy′(x0;y0)(y−y0) Isolando z si ottiene: z=f(x0;y0)+fx′(x0;y0)(x−x0)+fy′(x0;y0)(y−y0) Questa è l’equazione di un piano poiché è lineare nelle variabili x, y, z. Il piano passa per A perché le sue coordinate soddisfano l’equazione.
Esempio 1
Si determini l’equazione del piano tangente alla superficie z=4x2+y22−6x nel suo punto A(2;3;13). Si calcolino innanzitutto le derivate parziali della funzione in P0(2;3). fx′=8x−6fx′(2;3)=8⋅2−6=10fy′=2yfy′(2;3)=2⋅3=6
L’equazione del piano tangente è: z=13+10(x−2)+6(y−3)z=10x+6y−25
Esempio 2
Le funzioni in due variabili possono non avere punti in cui non esiste il piano tangente. Si determini il piano tangente alla superficie z=x2+y2 nel suo punto O(0;0;0).
Si calcolino le derivate parziali prime nel punto O(0;0;0).
zx′=Δx→0limΔxz(0+Δx;0)=x1,2
Con x1=−1 se Δx→0− e x2=1 se Δx→0+.
Se non esiste la derivata parziale rispetto a x, allora non esiste la derivata parziale rispetto a y. La superficie è un cono indefinito con vertice in O. Esistono infiniti piani che hanno in comune con il cono solo il vertice, non esiste quindi il piano tangente al cono nel suo vertice.
Differenziale
Definizione
Siano definiti i seguenti limiti:
Δx→0limα=0;Δy→0limα=0
La funzione f è differenziale nel punto P0(x0;y0) se l’incremento Δf si può scrivere come segue:
Il differenziale totale di f nel punto P0(x0;y0) si indica con df:
fx′(x0;y0)⋅Δx+fy′(x0;y0)⋅Δy
Il differenziale parziale rispetto a x in P0(x0;y0) è fx′(x0;y0)⋅Δx
Il differenziale parziale rispetto a y in P0(x0;y0) è fy′(x0;y0)⋅Δy
La derivata di una funzione in un punto è data dal rapporto tra il differenziale della funzione e quello della variabile indipendente.
dxdy=f′(x0)
Esempio
Si considerino g(x;y)=x e h(x;y)=y ed i loro differenziali totali:
dg=dx=1⋅Δx+0⋅Δy=Δx e dh=dy=0⋅Δx+1⋅Δy=Δy
Risulta quindi dx=Δx e dy=Δy, ovvero risulta che gli incrementi x e y sono uguali ai differenziale totali.
La differenziabilità assicura continuità.
Derivate parziali seconde
Definizione
Sia z=(x;y) dotata di derivate parziali fx′ e fy′, ovvero le derivate parziali prime. Se queste sono funzioni derivabili, si possono definire le derivate parziali seconde.
Derivata parziale rispetto a x della derivata parziale rispetto a x: fxx′′
Derivata parziale rispetto a x della derivata parziale rispetto a y: fxy′′
Derivata parziale rispetto a y della derivata parziale rispetto a x: fyx′′
Derivata parziale rispetto a y della derivata parziale rispetto a y: fyy′′
Le derivate fxy′′ e fyx′′ sono dette derivate miste.
Teorema di Schwartz
Se z=f(x;y) ha derivate seconde miste che siano continue in I, allora:
fxy′′(x;y)=fyx′′(x;y)∀x∈I
Matrice Hessiana
Data f:Rn→R, la Hessiana è la matrice quadrata n×n costituita dalle derivate parziali seconde:
Definizione
Dati f:A⟶R,x0∈A,x0 è detto punto di minimo relativo (o locale) per f se:
∃Iϵ(x0) t.c. f(x)⩾f(x0)∀x∈I∩A
f(x0) è detto minimo relativo (o locale).
Osservazione
Se A⊆R, allora:
∃r>0 t.c. f(x)⩾f(x0)∀x∈A,∣x−x0∣<r
Definizione
Dati f:A⟶R,x0∈A,x0 è detto punto di massimo relativo (o locale) per f se:
∃Iϵ(x0) t.c. f(x)⩽f(x0)∀x∈I∩A
f(x0) è detto massimo relativo (o locale).
Osservazione
Se A⊆R, allora:
∃r>0 t.c. f(x)⩽f(x0)∀x∈A,∣x−x0∣<r
I punti di minimo e massimo relativi sono detti estremi relativi.
Il Teorema di Fermat
Il Teorema di Fermat per le derivate e i punti stazionari stabilisce che una funzione ammette un punto di massimo o minimo relativo (o assoluto) in un punto x0. In questo punto la funzione è derivabile e la sua derivata prima è nulla.
Ovvero, siano I=(a,b),f:I⟶R,x0∈I.
Se si verificano entrambe le seguenti condizioni:
f è derivabile in x0
x0 è un punto un estremo relativo per f
Allora la derivata della funzione nel punto x0 è nulla: f′(x0)=0
Il punto x0 si chiama punto critico (o punto stazionario) a prescindere dal fatto che sia anche un punto di estremo relativo o estremo assoluto per la funzione.
Osservazione 1
La condizione f′(x0)=0 è necessaria ma non sufficiente affinché x0 sia un punto un estremo relativo. Infatti, se f′(x0)=0, non è detto che x0 sia un punto un estremo relativo.
Esempio 1
Sia f(x)=x3 allora f′(x)=3x2
Si ponga x0=0⟹f′(x0)=0
x0 non è né punto di minimo relativo né punto di massimo relativo.
Osservazione 2
La ricerca dei punti critici di f all’interno dell’intervallo I è utile per cercare i punti di estremo relativo.
Ma non tutti i punti critici sono anche punti di estremo relativo e, viceversa, non tutti i punti di estremo relativo sono anche punti critici: f potrebbe non essere derivabile in x0.
Esempio 2
Sia f(x)=∣x∣, x0=0 è un punto di minimo relativo (in particolare, anche assoluto).
∄f′(x0) quindi x0 non è un punto critico per la funzione.
Il Teorema di Rolle
Sia f una funzione continua nell’intervallo chiuso e limitato [a;b] e derivabile nell’intervallo aperto ]a;b[, se f assume lo stesso valore agli estremi dell’intervallo, ovvero f(a)=f(b) allora esiste almeno un punto x0∈]a;b[ t.c. f′(x0)=0
Ovvero, sia f:[a,b]⟶R,f∈C([a,b]) e derivabile in (a,b), se f(a)=f(b) allora:
Dimostrazione
Si applichi il teorema di Rolle alla funzione h(x)=(f(b)−f(a))g(x)−(g(b)−g(a))f(x)
⟹⟹⟺\ih∈C([a,b])\iih derivabile in (a,b)\iiih(a)=f(b)g(a)−g(b)f(a)=h(b) si puoˋ applicare il teorema di Rolle ∃x0∈(a;b):h′(x0)=0(f(b)−f(a))g′(x0)=(g(b)−g(a))f′(x0)
Il Teorema di Lagrange
Il Teorema di Lagrange è conosciuto anche con il nome di Teorema del valore medio.
Sia f:[a,b]⟶R,f∈C([a,b]) e derivabile in (a,b), allora:
∃x0∈(a,b) t.c. b−af(b)−f(a)=f′(x0)
Dimostrazione
La dimostrazione è immediata: si applichi il teorema di Cauchy a g(x)=x
Osservazione 1 (f(b)−f(a))/(b−a) è il coefficiente angolare della retta secante Gf nei punti A(a;f(a)) e B(b;f(b)).
La tesi afferma quindi che esiste almeno un punto x0 in cui il grafico ha retta tangente parallela alla secante.
Osservazione 2
Se si pone f(b)=f(a), allora f′(x0)=0 quindi si ricava nuovamente il teoerma di Rolle.
Applicazione al teorema di Lagrange
Si voglia maggiorare l’errore assoluto commesso approssimando logπ con log3.14159.
Sia x0=3.14159, allora π−x0⩽10−5. I due valori coincidono fino alla 5° cifra decimale.
Si vuole stimare l’errore logπ−logx0.
Si applichi dunque il teorema di Lagrange alla funzione f(x)logx nell’intervallo chiuso e limitato [x0,π]
f non è monotona in [0,1]∪[2,3] il dominio è dato da due intervalli disgiunti. Si può applicare il teorema dei criteri di monotonia separatamente nell’intervallo [0,1] e nell’intervallo [2,3], infatti:
fstrettamente crescente in [0,1]
fstrettamente crescente in [2,3]
Conseguenza del teorema sui criteri di monotonia
Il teorema enunciato di seguito è una conseguenza del teorema dei criteri di monotonia.
Teorema
Sia f:(a,b)⟶R e e derivabile in (a,b) con x0∈(a,b), se:
f′(x0)=0
∃f′′(x0)
Allora:
f′′(x0)>0⟹x0 punto di minimo relativo per f
f′′(x0)<0⟹x0 punto di massimo relativo per f
Dimostrazione(i.)
x→x0limx−x0f′(x)−f′(x0)=f′′(x0)>0 per ipotesi⟹x−x0f′(x)>0 definitivamente per x→x0 per il teorema della permanenza del segnof′(x)>0 per x>x0 definitivamente per x→x0f′(x)<0 per x<x0 definitivamente per x→x0
Osservazione
Non è contemplato un ipotetico caso (iii.) in cui f′′(x0)=0 poiché in tal caso x0 può essere di punto di massimo relativo, minimo relativo o nessuno dei due.
x0=0 non è né un punto di minimo relativo né di massimo relativo.
Punti stazionari
I punti stazionari (o punti critici) sono punti interni al dominio della funzione e annullano la derivata prima. Considerando y=f(x) una funzione che ha per dominio l’insieme I=]a;b[ e sia x0∈I.
x0 è un punto stazionari se f è derivabile in esso e se f′(x0)=0.
Crescenza e decrescenza della funzione
Dopo aver trovato i punti stazionari della funzione, si prosegue studiando il segno della derivata prima in modo da trovare i punti di massimo e minimo relativi. Si pone f′(x)>0 e si studia il suo comportamento.
Se f′(x)<0 in I−(x0) e f′(x)>0 in I+(x0) allora x0 è un punto di minimo relativo e si indica con m. Se f′(x)>0 in I−(x0) e f′(x)<0 in I+(x0) allora x0 è un punto di massimo relativo e si indica con M.
Se x∈[x0,x1] allora è possibile trovare λ∈[0,1] tale che
x=λx0+(1−λ)x1⟺λ=x1−x0x1−x∈[0,1]
Significato geometrico
Una funzione è convessa se, comunque si prendano due punti nel suo dominio e si traccino le rette secanti, il grafico si trova sempre al di sotto delle secanti. (Ha “la pancia” rivolta verso l’alto).
Una funzione è concava se, comunque si prendano due punti nel suo dominio e si traccino le rette secanti, il grafico si trova sempre al di sopra delle secanti. (Ha “la pancia” rivolta verso il basso).
Esempio 1
La funzione f(x)=x2 è strettamente convessa in R.
Esempio 2
La funzione f(x)=∣x∣ è convessa in R poiché se si sceglielgono i punti x0,x1 di segno concorde, la secante coincide con la funzione stessa.
Teorema n°2
Se f è convessa o concava in I allora è continua in \oI, ovvero f∈C(\oI).
Negli estremi dell’intervallo può non essere continua.
Esempio 3
f(x)={2,x2,x=0x∈(0,1]
f è convessa quindi f∈C((0,1]) ma non è continua in 0, dunque inff[0,1]=0,∄[0,1]minf.
Nota Bene Una funzione convessa può non avere punto di minimo.
Teorema n°3
Sia f:[a,b]⟶R convessa in [a,b], allora f ammette punto di massimo.
Sia f:[a,b]⟶R concava in [a,b], allora f ammette punto di minimo.
Dimostrazione n°3 I) convessità
Si ponga M=max{f(a),f(b)}
Il punto di massimo è assunto in uno dei due estremi, infatti:
f(x) presenta un punto di cuspide in x0 poiché f+′(0)=+∞ e f−′(0)=−∞
f(x)=−∣x∣ presenta una cuspide in x0=0 perché f+′(0)=−∞ e f−′(0)=+∞
Flessi
Definizione
Siano I⊆R (intervallo), con f:I⟶R e x0∈I, se:
∃a,b∈I t.c. a<x0<bf convessa in [a,x0]f concava in [x0,b] (o viceversa)
Allora x0 è detto punto di flesso per f.
Teorema n°1
Sia I=(a,b),f:I⟶R, derivabile in I, allora se:
x0∈I è un punto di flesso per f
f è derivabile due volte in x0 (esiste la derivata seconda in x0)
Allora f′′(x0)=0
Il grafico Gf presenta una convessità in I− e una concavità in I+ (o viceversa).
La retta tangente nel punto di flesso si chiama tangente inflessionale.
Osservazione 1
I punti di flesso vanno ricercati dove si annulla la derivata seconda. Questa è però condizione necessaria e non sufficiente: f′′(x0)=0⟹x0 punto di flesso.
Esempio 1
f(x)=x4f′′(0)=0
Non è un punto di flesso.
Dimostrazione n°1
Si supponga f convessa in I−(x0) e concava in I+(x0) (o viceversa).
Allora:
⟹⟹f′ crescente ∀x∈I−(x0)f′ decrescente ∀x∈I+(x0)x0 punto di massimo relativo per f′(x)f′′(x0)=0 secondo il teorema di Fermat
Nota Bene: Si ricordi che:
I−(x0) è un intorno sinistro di x0
I+(x0) è un intorno destro di x0
I(x0) è un intorno circolare di x0
Teorema n°2
Sia I=(a,b),f:I⟶R derivabile (n−1) volte in I, con n⩾2.
Se f ammette derivata n-esima in x0∈I e se:
f′(x0)=f′′(x0)=...=f(n−1)(x0)=0,f(n)(x0)=0
Allora:
I) n è pari:
f(n)(x0)>0⟹x0 punto di minimo relativo per ff(n)(x0)<0⟹x0 punto di massimo relativo per f
II) n è dispari
f(n)(x0)=0⟹x0 punto di flesso
Osservazione 2
A questo punto si è in grado di trovare i punti di massimo o minimo relativo e di flesso.
Si cerchino i punti critici (o stazionari), ovvero colori i quali appartengono al dominio della funzione e annullano la derivata prima.
Si studi il segno della derivata seconda. Poiché n è pari, ovvero f(n)(x0), allora:
se f(n)(x0) è maggiore di zero, allora x0 punto di minimo relativo per f
se f(n)(x0) è minore di zero, allora x0 punto di massimo relativo per f
se f(n)(x0) è uguale di zero, allora si studi il segno della derivata terza.
Poiché n dispari, se la derivata terza è nulla, allora è un punto di flesso. Altrimenti si studi il segno della derivata quarta e, poiché n pari, si torna nel caso della derivata seconda e così via.
x0 è un punto di flesso ascendente se f(x) è concava verso il basso in I−(x0) e concava verso l’alto in I+(x0).
Flesso discendente
x0 è un punto di flesso discendente se f(x) è concava verso l’alto in I−(x0) e concava verso il basso in I+(x0).
Flesso a tangente verticale
Se in un intorno di zero i limiti destro e sinistro sono infiniti e di segno uguale, la funzione presenta un fesso a tangente verticale. \ Il punto x0 è un punto di fesso a tangente verticale se:
x→x0limg′(x)f′(x) puoˋ essere utile per calcolare x→x0limg(x)f(x) quando si trova nelle forme 00,±∞±∞
Teorema: Regola di De L’Hopital
Siano I⊆R (un intervallo) con x0∈I, siano f,g:I∖{x0}⟶R derivabili in I∖{x0}, entrambe infinitesime o entrambe infinite per x→x0, se:
I) g′(x)=0 definitivamente per x⟶x0II) ∃x→x0limg′(x)f′(x)=l∈R
Allora:
∃x→x0limg(x)f(x)=l
Nota Bene: Il teorema di De L’Hopital vale anche per x→x0± o x→±∞
Osservazione
Il teorema di De L’Hopital dà una codizione sufficiente ma non necessaria per l’esistenza del limite nella forma indeterminata 00 o ±∞±∞
Osservazione
Se anche x→0limf′(x)/g′(x) si presenta nella forma indeterminata o 00 o ±∞±∞ e f′,g′ soddisfano le ipotesi del teorema di De L’Hopital, allora è possibile applicare il teorema di De L’Hopital considerando:
x→x0limg′′(x)f′′(x)
Utilizzo di De L’Hopital per le successioni
∃x→+∞limf(x)=l⟹∃n→+∞limf(n)=l∀xn→+∞f(xn)→l
Non è possibile applicare il teorema di De L’Hopital alle successioni poiché non sono derivabili, ma è invece possibile calcolare il limite del rapporto delle funzioni e ottenere il limite di partenza.
Teorema
Sia f∈C([a,b]) e derivabile in [a,b]∖{x0}
Se esiste ed è limitato:
Osservazione 1
Se x0=a si considera il limite per x→x+. Se invece x0=b, si considera il limite per x→x−.
Osservazione 2
∃x→x0limf′(x)=±∞f′(x0)=+∞
Si noti però che NON si sta affermando f derivabile in x0.
Osservazione 3
Il teorema afferma che f è derivabile in [a,b] e di consegnenza continua nello stesso intervallo, allora f′ non può avere discontinuità eliminabili in [a,b].
Teorema n°2
Se f è derivabile in [a,b], allora f′ non può avere discontinuità eliminabili, né discontinuità di tipo salto, né può essere:
x→x0+limf′(x)=±∞ oppure x→x0−limf′(x)=±∞
L’unico tipo di discontinuità che può verificarsi è:
∄x→x0+limf′(x) oppure ∄x→x0−limf′(x)
Osservazione 4
Se x→x0+limf′(x)=x→x0−limf′(x)⟹f non eˋ derivabile in x0Viceversa se x→x0+limf′(x)=x→x0−limf′(x)⟹feˋ continua in x0⟹∃f′(x0)=l
Nota Bene: Si presti molta attenzione nel verificare la continuità.
Formula di Taylor
Formula di Taylor con resto di Peano
Teorema
Formula di Taylor con resto di Peano
Siano I⊆R (intervallo), f:I⟶R derivabile n volte in I.
Allora ∀x,x0∈I
Quanto scritto fin’ora, può anche essere espresso mediante la formula (o sviluppo) di Taylor di ordine n e punto iniziale x0 con resto Peano:
f(x)=k=0∑nk!f(k)(x0)(x−x0)k+o((x−x0)n) per x→x0
∑k=0nk!f(k)(x0)(x−x0)k è detto polinomio di Taylor di ordine n
Dimostrazione
Per dimostrare la formula di Taylor di ordine n, è necessario usare n volte De L’Hopital.
Osservazione
Nella formula di Taylor x0∈R.
Nella formula di De L’Hopital x0∈R.
Formula di Taylor con resto di Lagrange
Teorema
Formula di Taylor con resto di Lagrange
Siano I⊆R (intervallo), f:I⟶R derivabile n+1 volte in I.
Allora ∃ξstrettamente compreso tra x e x0 t.c.
Osservazione 1
Rispetto alla formula di Taylor con il resto di Peano, è necessaria una derivata in più: n+1.
Lo sviluppo di Taylor con il resto di Peano di punto iniziale x0 è utile per lo studio locale in un intorno di x0, mentre lo sviluppo di Taylor con il resto di Lagrange è adatto per valutazioni numeriche o per lo studio di proprietà globali.
Sviluppo di Mac Laurin
Definizione
Lo sviluppo di Taylor, con qualsiasi tipo di resto, di punto iniziale x0=0 è detto sviluppo di Mac Laurin.
Sviluppi di Mac Laurin di funzioni trigonometriche
Siano I=(a,b),f:I⟶R. Se f è derivabile in I, allora la sua derivata è così definita:
f′:I⟶Rx⟼f′(x)
Se f∈C1(I), ovvero se la derivata prima è continua nell’insieme I, allora può essere derivabile in un punto x0∈I. In tal caso, la derivata della derivata prima è detta derivata seconda di f in x0 e viene indicata con le seguenti scritture:
Se f′ è derivabile in tutto l’intervallo I, allora:
f′′:I⟶Rx⟼f′(x)
Se f′′∈C0(I), allora f∈C2(I) ovvero ”f è di classe C 2 nell’intervallo I”.
Se f′′ è derivabile in x0, la derivata della derivata seconda (ovvero la derivata della derivata della derivata prima) è detta derivata terza di f in x0 e viene indicata con le seguenti scritture:
Definizione f∈Cn(I) se esistono e sono continue in I=(a,b) le sue derivate fino all’ordine n.
La derivata n-esima di f in x0 si indica con le seguenti scritture:
f(n)(x0),Dnf(x0),dxndnf(x0)
Nota Bene Se si esprime n con numeri romani, ad esempio fIV(x0), non sono necessarie le parentesi attorno ad n. Se invece n è espresso con numeri arabi o lettere, ad esempio f(4)(x0) o f(M)(x0), sono necessarie le parentesi.
Osservazione
Si è già dimostrato che se f è derivabile è anche continua.
Se f è derivabile n-volte nell’intervallo aperto limitato I=(a,b) anche le derivate (n−1)-esima, (n−2) -esima e così via fino ad f sono tutte funzioni continue.
Perciò si può definire Cn(I) come l’insieme delle funzioni n-volte derivabili in I con derivata n-esima continua: ciò implicherà che tutte le derivate di ordine inferiore (n−1,n−2,...,2,1) siano continue.
Funzione infinitamente derivabile
Definizione
C∞(a,b):=n∈N⋂Cn(a,b)
Le funzioni infinitamente derivabili ammettono tutte le derivate (tutte continue).